Questa non è solo semplicemente la mia storia, è un viaggio attraverso l'oceano, secoli, storie e ricordi. Un ponte invisibile tra Brasile e Italia, costruito non solo da cognomi e documenti, ma da affetti, profumi, gesti e radici. Non c'è misura dell'orgoglio di essere italo-brasiliani: portiamo il calore di entrambe le culture nel cuore come braci, sono eredità che si intrecciano, che si rafforzano a vicenda, che rendono questi due Paesi divisi dall'oceano, territori dall'anima connessa.
Mio nonno Vincenzo Lomanto arrivò in Brasile il 24 agosto 1957 a bordo della nave Provence, sbarcando al porto di Santos, per incontrare i suoi due fratelli maggiori, il prozio Michele e la prozia Angiolina, che si trovavano già in Brasile. Arrivarono tutti in cerca di nuove opportunità di lavoro, cosa rara all'epoca nella nostra regione d'origine, la splendida Campania, in provincia di Salerno, più precisamente nel paese di Montesano sulla Marcellana, che ho avuto la gioia di visitare nel 2013, in un viaggio emozionante verso le radici.
Quando arrivarono in Brasile, si stabilirono nella città di San Paolo. Mio nonno e suo fratello iniziarono a lavorare in vari settori, finché si stabilirono con una bancarella al mercato. Il prozio Michele arrivò con la moglie Elvira ed ebbero tre figli. La prozia Angiolina arrivò con la figlia Rosa in braccio e in seguito ne ebbe altri due. Mio nonno, dopo aver conosciuto mia nonna, rimase a São Paulo dove nacquero i suoi quattro figli, e in seguito si trasferirono a Piedade, la mia città. Purtroppo i miei nonni paterni se ne andarono presto, mia nonna Rosa era brasiliana, nata e cresciuta a Piedade. Quando viaggiava per lavoro a São Paulo incontrò mio nonno, ma sappiamo poco dei dettagli di quel periodo, avevo solo due anni quando lei morì lei e quattro quando lui ci lasciò.
Crescere in una famiglia italiana significa anche crescere correggendo la pronuncia e l'ortografia del nostro cognome, cosa comune tra amici a scuola e parenti in altre occasioni, ed era persino divertente. "Due L, due Z", e così via. Ma il mio non è così difficile: Lomanto. Ogni volta che lo scrivevamo, arrivava la spiegazione: "Mio nonno veniva dall'Italia, dalla Campania, e parlava italiano... e il suo nome non era Vicente, ma Vincenzo, con la Z, e bisogna dirlo correttamente!". Anche se non sapevamo molto della lingua, sembrava scorrerci nel sangue nel sangue.
I nostri prozii e zie di San Paolo ci facevano visita ogni volta che potevano, la prozia Angiolina era una presenza più costante, dato che sua figlia Rosa aveva vissuto nella nostra città per un po'. Erano visite piene di affetto, "all'italiana", con sprazzi di ricordi dell'Italia. Quando andavamo a San Paolo a trovare il prozio Michele e la prozia Elvira, sembrava una festa, um tavolo pieno e quel portoghese mescolato al dialetto italiano, che mi ci è voluto un po' per capire, ma alla fine ce l'ho fatta. Tutto questo negli anni '90, un'epoca in cui viaggiare tra le città era ancora una sfida e le telefonate erano solo per le emergenze, ed io, ancora bambina, finivo per avere pochi contatti con loro.
Ho vissuto la mia infanzia piena di italianità, sia nelle soap opera della Globo “la nostra RAI” che parlavano dell’immigrazione italiana di storie vere, ma con quell’ “italiano sbagliato” che mi dava fastidio. Tutto era “capixe” e sapevo che il vocabolario era più ampio, o nelle rare occasioni in cui la radio trasmetteva Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Peppino di Capri, Domenico Modugno, Andrea Bocelli e Pavarotti. E chi non ricorda la domenica mattina con il Gran Premio di Formula 1 in Italia? Era una delle poche occasioni per vedere immagini di città italiane e ascoltare interviste con piloti italiani. Ah, e le notizie dal Vaticano, con la cronista Ilze Scamparini sui tetti di Roma... tutto questo mi affascinava!
A 18 anni ho saputo dalla possibilità di richiedere la cittadinanza italiana, ho cominciato a raccogliere i documenti, ma la burocrazia consolare era sempre gigantesca. I miei genitori avevano una panetteria, e così ho lasciato tutto in sospeso. Solo con l’avvento di Internet e qualche suggerimento familiare ho ripreso.
Nel 2005, ho iniziato ad approfondire tutto ciò che riguardava Montesano sulla Marcellana e volevo saperne di più della famiglia di mio nonno. Era l'epoca di Orkut, dove eravamo molto orgogliosi di far parte di comunità come "Discendo da italiani" e "Siamo orgogliosi del nostro cognome italiano". Il legame con le nostre radici era digitale, ma reale. Poco dopo, ho avuto la fortuna di trovare un vecchio video su YouTube che mostrava l'installazione della rete elettrica a Montesano. Ho contattato il proprietario del canale ed è così che ho iniziato a comunicare in italiano per la prima volta, aiutandomi a entrare in contatto con i familiari che vivevano ancora lì.
A quel tempo, leggevo già i testi delle canzoni, usavo i traduttori automatici per capirne il significato e i dizionari per tradurre parola per parola, ma non conoscevo ancora le regole grammaticali della lingua. Fu allora che conobbi la signora Franca, un'italiana di Modena, in Emilia Romagna, che viveva nella mia città. Con lei ho avuto le mie prime lezioni di italiano, sempre ricche di cultura, primi piatti e grappa d'uva. Sognavo che mi venisse riconosciuta la cittadinanza per poter studiare all'Università di Perugia, lavorare e studiare in Italia, ma non fu possibile.
Da queste piccole pillole di conoscenza, mi sono avvicinata a due grandi amiche, legate alla cultura italiana: Vitangelo, artista sensibile ed espressivo, e Camila, laureata in Lettere con specializzazione in portoghese e italiano, e scrittrice. Anche se non parlavamo a lungo, l'argomento era sempre lo stesso: la dolce ed eterna Italia.
Il mio desiderio di visitare l'Italia cresceva sempre di più, ma la vita quotidiana in Brasile mi ha sempre frenato. Eppure, non ho mai smesso di cercare le mie radici. Con l'arrivo di Facebook, ho trovato dei cugini a Montesano, con i quali sono ancora in contatto oggi. Nella mia città, imparare di più sulla lingua italiana era una sfida. L'Università di San Paolo nella capitale, dove Camila ha studiato, aveva ottimi insegnanti di lingua, ma per me era lontana. Così, internet è diventata la mia scuola con musica, giornali, video, tutto ciò che mi connetteva all'Italia e mi aiutava a saperne di più sulla sua lingua e cultura.
Nel corso degli anni, cercavo sempre di saperne di più sul Paese che mi attraeva. Fu nel 2013 che, tramite Camila, ho conosciuto Juliana, e così si presentò l'opportunità di un programma di scambio culturale: per tre mesi con lei e la sua famiglia al Lido di Ostia. Avrei potuto fare il processo di cittadinanza lì, ma non l’ho fatto perché, nel giro di 15 giorni ero già sbarcata a Fiumicino, e i mei documenti non erano ancora organizzati. Fu un periodo di grande apprendimento, vivere in un altro Paese e adattarsi a una nuova cultura fu come rinascere. Io, Mariangela, che mai avevo lasciato la mia città Piedade, mi stavo avventurando a Roma. Quando sono scesa alla stazione di fronte al Colosseo, qualcosa cambiò. Il sangue italiano scorreva veloce nelle mie vene, era come se fossi tornata in un luogo di una vita passata. Ogni passo lungo le strade rivelava qualcosa di nuovo e allo stesso tempo familiare, come se tutto mi appartenesse già, e non mi sentivo sola.
Tra le mie avventure in Italia, una delle più memorabili è stata in Vaticano, ci sono andata con un'intenzione chiara: scattare una foto "alla Ilze Scamparini", la stessa posa che vedevamo così spesso sui giornali, con lei sui tetti di Roma, sempre seria, quasi senza reazione. Ma a differenza sua, io non ero sui tetti, ero in Piazza San Pietro, e non era un giorno qualunque: era il giorno prima delle dimissioni del Papa! Quando i miei amici hanno visto la foto, sono andati dai miei genitori e hanno detto loro che stavo "facendo un pasticcio in Vaticano". Hanno persino detto scherzosamente che avevo partecipato al conclave! [😂]
Ma perché raccontarci tutto questo? Perché la TV ci ha sempre mostrato solo le cartoline dell'Italia, le attrazioni turistiche di Roma, Venezia, Firenze... città presentate come vetrine per i turisti. Ma io volevo il contrario. Sì, ho visto le classiche attrazioni turistiche, ma sono andata oltre. Mi perdevo per le strade, cercavo piccole città e villaggi, ne leggevo, ne approfondivo la storia, imparavo le storie degli abitanti. E, naturalmente, approfittavo di ogni conversazione per praticare la lingua e attaccare bottone.
Nel mio viaggio di ritorno alle origini, ho potuto visitare la città di mio nonno, incontrare i suoi fratelli e comprendere, con occhi e orecchie attente, com'era veramente la vita a quei tempi. L'Italia ha questa caratteristica unica, passeggiare per quelle vie è stato come aprire un vecchio libro conservato nelle librerie della mia memoria. E allo stesso tempo, riscrivere e completare quel libro con nuove pagine per i familiari rimasti in Brasile. Mio nonno non è mai più potuto tornare in Italia, quando sono arrivata a Montesano e ho incontrato i suoi fratelli, erano rimasti increduli che io, una nipote brasiliana, donna, stessi viaggiando da sola alla ricerca delle mie origini. Non sono mancate le emozioni, così come le storie. Il mio italiano era ancora al livello A2 all'epoca, ma questo non mi ha impedito di comunicare. Anche se sentivo costantemente il dialetto montesanese, in cui capivo per deduzione quello che dicevano, c'erano affetto, curiosità, fede (soprattutto in Padre Pio, la cui immagine era esposta in piazza) e rispetto reciproco. Sono stati solo tre giorni intensi, pieni di incontri, emozioni e significati. Ma dai, c'era uno zio che pensava che stessi cercando l'eredità dei miei bisnonni, Antonio e Mariangela (il nome che ho ereditato) 🤣. Ma l'eredità che cercavo era solo l'italianità e l'amore per la lingua.
Durante il mio soggiorno in Italia, ho avuto il privilegio di visitare sei regioni, e ne mancano ancora quattordici per completare la mia lista. Ma in queste sei ho imparato molto sulla storia, la cucina, le tradizioni, gli accenti e, soprattutto, sugli aspetti più autentici dell'Italia che il turismo di massa non mostra. "Ho visto gli gnomi ad Alberobello", in Puglia, passeggiando tra i trulli come in una fiaba. Le piccole case di pietra, con i loro tetti conici, sembravano sussurrare antichi segreti, come se la magia abitasse ancora le loro mura. A Narni, in Umbria, mi sono sentito come se stessi viaggiando nel tempo, sono entrata in un armadio immaginario, come nelle storie di Narnia, e sono stata trasportata in un universo medievale, pieno di misteri, grotte nascoste e leggende viventi negli occhi della gente del posto.
Sulla via del ritorno verso Roma, mentre il treno attraversava paesaggi mozzafiato, ho sentito storie di un monastero che ha ispirato il famoso romanzo “Il Nome della Rosa” di Umberto Ecco. Era come se ogni centimetro di strada fosse intriso di letteratura, fede ed enigmi. Ho camminato per strade dove il tempo seguiva un ritmo diverso, non scandito dalle ore, ma da storie, profumi e sguardi. A ogni angolo, un invito a rallentare e semplicemente a sentire. È stato lì che ho capito che, il vero lusso è trovarsi in un luogo dove, anche se estraneo agli occhi, l'anima si riconosce.
Ho visto da vicino l'anima del popolo italiano e ho ritrovato me stessa. Chi vive la cultura con naturalezza, impara la lingua facilmente e mantiene viva l'identità italiana anche lontano dall'Italia, porta nei propri geni la lingua, i ricordi e l'anima dei propri antenati, come se ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo fosse già stato vissuto prima, in un altro tempo. E questo è vero, c'erano luoghi che non avevo mai esplorato, mai visto in foto. Ma quando sono arrivata, mi sono sentita a casa, come se la mia anima conoscesse già ogni angolo, ogni pietra. È il tipo di sensazione che non si può spiegare, si può solo vivere.
Ma, come tutte le cose belle finiscono, sono tornata in Brasile sebbene il mio cuore e la mia mente non siano ancora tornati. Sono ancora lì, sparsi per le città e i paesi italiani, a sfogliare storie su internet, a stringere amicizie con persone appassionate dell'Italia. Oggi, con Instagram, viviamo la quotidianità degli italiani nati lì: dal "buongiorno" con Rossella alla "buonanotte" con le pagine culturali, studiando, imparando e condividendo tutto sul Bel Paese di Dante Alighieri.
Alcuni di coloro che vivono in Italia oggi, soprattutto i politici, potrebbero non capire quanto noi, da questa parte dell'oceano, respiriamo intensamente questa terra ogni giorno. Il nostro legame va oltre la distanza e i documenti: è fatto di amore, storia, identità e appartenenza, l'italianità che portiamo nel cuore non conosce confini né burocrazia.
L'eccellenza italiana non si limita al suo territorio, pulsa in ogni discendente nella diaspora, che onora con orgoglio le proprie origini. Esistiamo e non siamo cittadini di seconda classe. Oggi, dodici anni prima e dopo quel viaggio, continuo a vivere e respirare l'Italia, nella musica che ascolto, nelle notizie che seguo, nella lingua che studio ogni giorno e nella cultura che porto con me, in ogni conversazione, in ogni aula, in ogni gesto. Sono nipote di un uomo nato in Italia, sono italiana di sangue, ius sanguinis. E posso dire con piena convinzione: siamo italiani, sì, e manteniamo un legame autentico, vivo e legittimo con questa nazione. Signor Tajani, signora Meloni, studiare la storia d'Italia e della diaspora fa molto bene, non è vero?
Fu nel Museo dell'Immigrazione che ho trovato i documenti di imbarco, ed è questo spazio, che custodisce così tante storie, un luogo della memoria, un ponte tra le nazioni, dove il passato vive, pulsa e insegna. È lì che molti di noi trovano risposte, connessioni e verità. È lì che inizia la conoscenza che è mancata a molti politici che, con una penna alla mano, hanno osato interrompere la linea di trasmissione della cittadinanza come se potessero cancellare il sangue che non ha mai smesso di scorrere. Ho ancora molto da raccontare, della mia famiglia, della mia città, delle tante altre famiglie italiane che sono arrivate qui, hanno costruito, resistito e ancora vivono.
Perché l'italianità non è solo un passaporto, è un'eredità dell'anima, è un ponte tra culture, è una radice profonda. E chi la guarda con disprezzo potrebbe non aver mai imparato a onorare veramente la propria storia e quella di entrambi paesi. Nonostante tutto questo, non ho ancora formalmente riconosciuto la mia cittadinanza italiana. Siamo in coda al consolato con l'intenzione di fare la procedura in famiglia, tutti insieme. Ma poi è arrivato il "decreto della vergogna" e con esso il diritto alla trasmissione si è interrotto, ignorando storie vissute, memorie conservate e il legame mai spezzato. Un decreto che ignora chi porta in ogni cellula la lingua, la storia e l'anima dell'Italia. Anche senza un riconoscimento in mano, l'italianità è qui: viva, presente, autentica. Signor Tajani, signora Meloni... forse dovremmo ascoltare e conoscere un po' di più la diaspora per capire che gli italiani non nascono solo entro confini geografici, nascono anche nel cuore di chi, fuori dall'Italia, non ha mai smesso di amarla, onorarla e viverla.
Mariangela Lomanto 🇧🇷❤️🇮🇹